La festa solenne della S. Croce nella comunità di Vinchiaturo: un antico titolo, una storia, un cammino di valori, segni e significaticatechesi sulla croce n. 1

Non ci sia per noi altro vanto che nella Croce del Signore nostro Gesù Cristo. Egli è nostra salvezza, vita e risurrezione; per mezzo di lui siamo stati salvati e liberati (Cf. Gal 6, 14)

Beata Croce, splendida, innalzi il Re dei secoli che con il Suo Sangue ci riscattò dal male

E’ bello festeggiare l’Esaltazione della Croce soprattutto nella nostra Parrocchia di Vinchiaturo intitolata proprio alla S. Croce, con l’antica Chiesa Madre che ne conferisce il nome, e la statua della Madonna della Croce restaurata di recente, che insegna a trasformare la sofferenza in offerta e a vivere il dolore con amore, già trasfigurato dalla luce della fede.

Perché esaltare la Croce? Perché da atroce supplizio il Cristo, nel Suo abbraccio, ne fa un Trono d’amore con cui regna nel dono supremo. Un esempio alto che interroga popoli e culture diverse. Una voce che interpella e segna ogni tempo. Un invito a riscoprirne la storia, la cultura del dono, la spiritualità che non può non riportarsi ai suoi grandi valori, segni e simboli. La Croce è un segno identitario visibile e universale, che accompagna e orienta l’homo viator alla meta di Luce. Essa è tra i simboli più potenti e più ricchi di significato nell’immaginario collettivo. In qualunque parte del mondo, qualunque sia la fede religiosa, la cultura o la tradizione, la Croce assume sempre il significato di sacrificio e di redenzione (la stessa S. Messa è banchetto di sacrificio e poi di festa), di sofferenza e di riscatto. La Croce, unisce dunque fascino e mistero, domande e risposte nella vicenda di Gesù. Essa è carica di forza nel suo antico titulus INRI ossia come Trono che identifica e celebra “Gesù Nazareno, il Re dei Giudei” e rimanda al Suo essere Figlio di Dio.

Dall’Oriente all’Occidente. Il segno della Croce è celebrato da tutti i cristiani sparsi nel mondo, nell’ortodossia orientale (toccando la spalla destra prima della sinistra) con le prime dita esprimono la fede nella Trinità (come in Occidente il Papa benedice con le prime tre dita alzate) mentre le altre due rappresentano la natura umana e la natura divina di Gesù.

Un segno storico e dinamico. Segno nudo e umile, muto ed eloquente del perdono di Dio e della riconciliazione in Cristo di tutta l’umanità. Segno, alto e nobile, dell’abbraccio di Dio per ogni persona. Segno sicuro di salvezza e di redenzione in Colui che ne fa il Suo altare e Talamo di Amore. Segno di un amore pieno, inclusivo, universale, eterno che nel patibulum abbraccia il mondo intero. Ed è bello riflettere come lo stipes (che i romani piantavano sui colli delle crocifissioni) e il patibulum (ossia l’asse orizzontale che portava il condannato sulle spalle) vengono a incontrarsi e incrociarsi nel corpo del Crocifisso, che vi è disteso. E la Croce s’innalza con la sua fierezza e i tanti interrogativi. Ecco la Croce che fiera si erge tra terra e Cielo e con la sua punta quasi tocca l’Infinito. Ecco la Croce che invita ad alzare lo sguardo verso la Luce per trovare senso alla vita, risposta al soffrire, valore all’amare e dare vita alla morte nell’Oltre di Dio. Ecco il miracolo del Crocifisso che muore sconvolgendo Cielo e terra, che fa tremare e spacca la terra e converte il centurione e che nel suo Sangue, versato sul Calvario, apre il Regno della Pace. Un Mistero d’Amore che, celebrato nel primo sacramento del Battesimo, passa per il dono di sé e chiede di crescere fino alla “statura” di Cristo. Un cammino, un impegno, un traguardo esistenziale.

Da sapere. La frase “IN HOC SIGNO VINCES” ossia “con questo segno vincerai”, sarebbe apparsa a Costantino, prima di iniziare il combattimento contro il rivale Massenzio, nei pressi di ponte Milvio a Roma. Queste parole sarebbero state scritte attorno a una Croce miracolosamente apparsa in cielo e avrebbero convinto l’imperatore a far sostituire con tale immagine la tradizionale aquila delle insegne militari romane, che da quel momento vennero chiamate labari. Il 28 ottobre 312 la battaglia si concluse con la vittoria di Costantino e la fuga di Massenzio, il quale durante la ritirata annegò nel Tevere. (Si veda la Croce di Costantino nel Museo della Macedonia, Skopje).

Dopo il 312 Costantino ordinò di mettere la Croce sul labaro imperiale e sul suo elmo. Dopo la vittoria su Massenzio egli si convertì dal culto del Sol invictus (che si trova sull’arco di Roma a lui intitolato) al cristianesimo. E a questa sua trasformazione spirituale diede il senso, più che di un rinnegamento, di un superamento della primitiva religiosità e di una maturazione interiore.

La Domenica diventa festività civile. La Domenica, “giorno del Signore” ossia della Resurrezione per i cristiani, diventa giorno festivo per tutti, con la sospensione di ogni attività pubblica, compresa quella giudiziaria e delle opere manuali. Oggi si veda: Sine Dominico non possumus ossia “senza il Giorno del Signore non possiamo vivere” (frase dei 49 martiri di Abitene, III sec. d.C. nell’attuale Tunisia) in Omelia di Benedetto XVI al XXIV Congresso Eucaristico Nazionale, Bari 29.05.2005.

Costantino prima di morire, nel 337 ricevette il Battesimo. Verso la fine del regno si notano due tendenze convergenti. Da una parte la dignità imperiale comincia a coronarsi, a Costantinopoli, dei simboli grandiosi e misteriosi della santità di Dio; nei dipinti e nei mosaici, troviamo l’imperatore col capo circondato dal “nimbo”, che l’arte cristiana porrà intorno al capo dei santi; egli viene proclamato “simile agli apostoli”, “supremo vincitore risplendere per tutte le virtù della pietà”, “sovrano amico di Dio”, “vescovo esterno della Chiesa”, suo garante, protettore e sostegno. Dall’altra parte, la figura di Gesù “mite e umile”, viene presentata come Maestà, regale, aureolata. S. Elena, madre dell’imperatore, venerata nella Chiesa latina e greca, durante il suo pellegrinaggio in Terra Santa avrebbe rinvenuto la reliquia della Croce di Cristo, una parte della quale sarebbe il santo legno venerato nella chiesa romana di Santa Croce in Gerusalemme.

Chiudo con una significativa preghiera, da meditare, che invita a celebrare la bellezza della Croce e in essa il frutto della Salvezza. Auguro a tutti di sentire l’abbraccio consolante del Cristo Crocifisso e la forza rinascente di Colui che è Risorto e resta il Vivente in mezzo a noi.

Vinchiaturo (CB): 19.09.2023                                                             Il Parroco: don Peppino C.

PREGHIERA: “La Croce gloriosa del Signore risorto è l’Albero della mia salvezza di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco, nei suoi rami mi distendo. La sua rugiada mi rallegra, la sua brezza mi feconda, alla sua ombra ho posto la mia tenda. Nella fame l’alimento, nella sete la fontana, nella nudità il vestimento. Angusto sentiero, mia strada stretta, scala di Giacobbe, letto di amore dove ci ha sposato il Signore. La Croce gloriosa del Signore Risorto è l’Albero della mia salvezza di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco, nei suoi rami mi distendo. Nel timore la difesa, nell’inciampo il sostegno, nella vittoria la corona, nella lotta tu sei il premio. Albero di vita eterna, pilastro dell’universo, ossatura della terra, la tua cima tocca il cielo e nelle tue braccia aperte brilla l’amore di Dio. La Croce gloriosa del Signore risorto è l’Albero della mia salvezza di esso mi nutro, di esso mi diletto, nelle sue radici cresco, nei suoi rami mi distendo. Amen” (Kiko Arguello).