Ciò che è avvenuto nella piazza vuota di san Pietro, nella serata di venerdì 27 marzo 2020 ha già il sapore della storia. Tutto il mondo era lì! Collegato in mondo visione, il papa, con una essenzialità disarmante, sotto una pioggia battente, ha percorso il sagrato della Basilica ed ha dato al mondo il suo cuore. Ma ha anche dettato al mondo il programma di una nuova civiltà, che potrà nascere proprio da questa devastante pandemia mondiale. Ha utilizzato un brano famoso, indovinatissimo in Luca 8,22-25, per raccogliere tutte le nostre sensazioni, ad ogni livello. Si è fatto voce di una umanità smarrita, che rischia di affondare come i discepoli su quella barca traballante, di fronte ad una tempesta furiosa e scatenata. Come oggi, il corona virus, per noi!

E ci ha interpretati pienamente,quando ha esordito che siamo come quei discepoli pieni di paura, in una sera nuvolosa, dai toni minacciosi. Tutti abbiamo paura! Tutti. E perciò – ecco la sua risposta – tutti dobbiamo stare ancor più uniti, senza divisioni di calcolo egoistico, come è avvenuto giovedì sera,a Bruxelles, dove l’Europa ha rischiato anch’essa di affondare, sotto i marosi degli egoismi nazionalistici.

Siamo tutti sulla stessa barca, tutti insieme, tutti nella paura!”. Quante volte lo ha ripetuto, calcando il tono, affondando la voce in una pienezza di messaggio autorevole e paterno insieme! E da quella barca, sale al cielo un grido: “Maestro, non ti importa che periamo?!”   E’ la nostra preghiera, è la domanda dei nostri bambini, smarriti perché tutto è cambiato, è la richiesta dei nostri contadini davanti al gelo che ha cancellato i fiori di primavera, è l’angoscia dei nostri carcerati. Ma è soprattutto il grido del nostro personale medico ed infermieristico, che vede morire nella solitudine tanti fratelli e sorelle!

Il papa qui ha dato però anche la risposta, indicandoci la strada del futuro, per imparare da questa pandemia a sognare un futuro nuovo. Prima di tutto ci ha indicato le cause di questa crisi: non abbiamo ascoltato la voce dei poveri e la voce del creato, malato. Ci siamo illusi di poter restare sani in un mondo malato! Il furore della tempesta, infatti, ha messo a nudo le nostre miserie di civiltà, le nostre realtà fatte di egoismo. Cade il trucco di un mondo costruito sul nulla, sull’effimero, sull’interesse egoistico. Cade la maschera! E ci prende l’angoscia.

E di fronte alla paura, c’è solo il rimedio della Fede. Quanto ha insistito papa Francesco, su questa parola, oggi riabilitata, perché necessaria, in termini dinamici. Dando alla fede la concretezza di un tornare tutti umili, di un cammino finalmente tutti insieme, sapendo cogliere ciò che dura da ciò che si perde. Ciò che resiste da ciò che fugge. Il Prezioso dall’effimero! Il vero dal superfluo! Questa è la fede, vera, incarnata.

La fede poi ci chiede di “essere una sola cosa”, come ha chiesto Gesù, nell’ultima sua preghiera. Tutti insieme! Proprio perché oggi tutti abbiamo la stessa paura; proprio perché tutti siamo sulla stessa barca, dobbiamo essere tutti una cosa sola. Perciò, alcune esortazioni immediate, bellissime, impastate di futuro: “creiamo spazi di nuova solidarietà e nuova fraternità, in feconda reciprocità!”.

Con lo sguardo al Cristo Risorto, che vive accanto a noi e che ci ha benedetti, alla fine, in quell’ostia radiosa, dentro un ostensorio dai colori del tramonto, luminosi. Come luminosa è stata la indulgenza plenaria, data senza condizioni. E’ la prima volta nella storia! Davanti ad una piazza vuota ma di fronte ad un mondo, che, collegato in mondo visione, palpitava in quella pioggia battente, che sapeva però di fecondità per un domani nuovo, dove Maria, stella del mattino e rifugio dei peccatori, ci benediceva, anch’essa con cuore di madre, con una esortazione finale, dolcissima, paradigmatica: Dio ci custodisce, perché anche noi impariamo a custodire noi stessi, per custodire i nostri fratelli!  E solo allora, la tempesta si placherà!