di Silvana De Mari

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Il femminismo ha avuto due parti: il movimento di emancipazione femminile e il movimento di liberazione.

Spesso confusi l’uno con l’altro questi due movimenti sono assolutamente antitetici.

Il movimento di emancipazione era un onesto movimento che voleva diritti civili e pari opportunità una volta che la tecnologia li avrebbe resi possibili.

Prima che la tecnologia li rendesse possibili, questi diritti erano talmente impossibili da essere insensati.

Dove non esista il motore a scoppio, dove non esista l’elettricità, solo un uomo ha la forza fisica per arare e scendere in miniera, e procurare il cibo.

Senza un uomo che la nutra, una donna non può sopravvivere.

Ma un uomo per poter sopravvivere ha bisogno di non morire di scabbia o di enterocolite, ha bisogno di una donna che usi quattro giorni la settimana per fare il bucato (fate la prova: fate il bucato senza detersivi industriali e senza lavatrice) e che usi almeno quattro ore al giorno per rendere il cibo commestibile (provate).

Una donna aveva bisogno di un uomo e un uomo di una donna, in ruoli complementari e divisi, a cui ognuno dei due era portato biologicamente (La divisione dei compiti anche oggi è la migliore politica: l’eccellenza nasce dalla specializzazione; dove tutti fanno le stesse cose tutti le fanno male e nasce una competitività esasperata su qualsiasi cosa, in più i maschi sono etologicamente più bravi a guadagnare quattrini).

Dove non esistano mezzi anticoncezionali si hanno dieci o quindici figli, dove non esistano antibiotici se ne perdono la metà.

Quando nel mondo occidentale di culture biblicoevangelica, e solo qui, si sono create le condizioni tecniche che potevano permetterlo (motore a scoppio, elettricità, migliorate condizioni igieniche), le donne hanno chiesto e ottenuto la parità legale, con i movimenti di emancipazione.

Erano movimenti  basati sull’amore, l’amore per se stesse, per gli uomini, per la vita, per il mondo, per la famiglia.

Il movimento di liberazione, invece, è stato un movimento basato sull’odio, sull’odio isterico per i maschi, per la vita, per la maternità, la civiltà ebraico-cristiana, il mondo occidentale e soprattutto per se stesse.

Il movimento di liberazione femminile ha odiato le donne con un odio totale, e ha odiato l’essere madre in quanto costituito da persone incapaci ad affrontare la maternità.

Le donne sono state presentate come un gruppo etnico, che è un’idiozia.

Gli ebrei sono un gruppo etnico. Gli armeni sono un gruppo etnico. Le donne sono la parte femminile di un’unica specie, quella umana:  noi siamo la parte femminile e i maschi sono la parte maschile di un’unica specie, che in epoche passate ha fatto leggi discriminanti, ma tutti e tutte siamo discendenti da chi ha fatto quelle leggi, non è che i maschi discendono dai maschi (cattivi) e noi discendiamo dalla femmine (vittime).

Che le femmine siano una specie a parte, in fondo antropologicamente superiore, è la teoria che sta circolando, ed è demente.

In fondo le donne sono più intelligenti degli uomini, ho sentito dire l’8 marzo.

Questa squalifica totale rappresentata in molteplici film è una delle cause del particolare disagio dell’adolescente maschio del terzo millennio e della sua incapacità di diventare uomo, restando adolescente a vita: “sono un ragazzo di quarantun anni”, si sente dire.

Le bizzarre rappresentanti del cosiddetto movimento di liberazione femminile hanno creato una società non vitale, dove i vecchi sostituiscono le culle, i morti sono più numerosi dei nati, dove la solitudine e la povertà spaccano il cuore, dove la desolazione regna come norma.

Contro i maschi in una suicida devirilizzazione della società è stata fatta un’operazione immonda, che se fosse fatta contro un popolo sarebbe razzismo.

Tutte le loro colpe sono ingigantite, occupano tutto lo spazio visivo.

Ci ossessionano con i numeri delle donne vittime di uomini. Vittime di violenza fisica.

Questi numeri esistono, certo, ma  non possono essere considerati  da soli, ingigantendoli e dando l’impressione che tutta la vita delle donne sia martirio.

Il vittimismo isterico inchioda le donna al ruolo di vittima permanente e l’uomo a quello di carnefice permanente, a meno che non si scusi della propria virilità, non ci rinunci, non si scusi, non pulisca il bagno con il viakal, fiero di questa sua straordinaria competenza.

Ci sono altri numeri che devono essere considerati, come il numero di morti sul lavoro: sono quasi tutti uomini.

I lavori peggiori, i più pericolosi, li fanno solo loro.

Il giorno in cui la mia casa brucerà, spero che i pompieri siano tutti maschi, che nessun demente ne abbia assunto di femmine, esattamente come qualche demente ha assunto le femmine a fare controllori sui treni, dopo che a uno di loro è stato staccato un braccio con un machete. I miei complimenti per il genio.

Insieme ai numeri delle donne vittime degli uomini occorre scrivere anche il numero tragicamente alto dei suicidi dei maschi, nel mondo occidentale spaventosamente superiori a quelli delle femmine.

Loro aggrediscono con la violenza fisica.

Noi siamo le regine della comunicazione, noi possiamo distruggere con la parola.

Il tasso di disperazione di una categoria si misura dal tasso di suicidio.

Ma soprattutto quello che tutti stanno dimenticando sono tutti gli uomini morti per una donna. E questi sono mille volte più superiori di quelli che hanno fatto del male, sono centomila volte superiori, e nella narrazione isterica della storia delle bizzarre creature del movimento di liberazione sono scomparsi.

Prima le donne e bambini, nel mondo cristiano è così.

Gli uomini sono morti per lasciare alle donne i posti sui battelli di salvataggio nei naufragi, per tirarle fuori dagli incendi.

Gli uomini sono morti a milioni e milioni e milioni e milioni per scendere nelle miniere così che le loro mogli e i loro bambini potessero avere qualcosa da mangiare. Gli uomini sono bruciati vivi nelle acciaierie perché le donne e i bambini potessero avere qualcosa da mangiare. Sono morti avvelenati nelle concerie, sono annegati mentre inseguivano Moby Dock, perché le madri e i bambini potessero avere qualcosa da mangiare.

Gli uomini sono morti con le armi in pugno perché gli orchi non arrivassero fino alle loro donne.

Io sono assolutamente certa, e su questo sono disposta senza un attimo di indugio a mettere la mano destra sul fuoco: il giorno in cui mi troverò un terrorista davanti venuto a saldarmi i conti delle mie poche e miti considerazioni su una religione molto intelligente e pacifica, mio marito si metterà in mezzo per prendersi il proiettile lui, come sono certa che farebbe il Sahara a piedi per portarmi mezzo bicchiere d’acqua.

Come avrebbe fatto mio padre.

Non sono uomini perfetti, ma uomini disposti a morire per le loro donne certo.

Onestamente la destra sulle fedeltà di entrambi non me la giocherei, ma sul loro coraggio di morire per me, sì, certo. Lo so.

Loro sono uomini.

Estratto da: La realtà dell’orco, ed. Lindau:

http://www.ibs.it/ebook/De-Mari-Silvana/La-realta-dell/9788867080687.html