Il racconto di tre donne dopo la decisione di Francesco in vista del Giubileo

La Chiesa ha sempre perdonato le donne che, dopo un aborto, sinceramente pentite per quella tragedia – vissuta spesso senza la totale consapevolezza del male procurato – aprono il cuore implorando l’abbraccio di Dio. Finora però questo perdono veniva concesso in modo complesso e, talvolta, disomogeneo. Papa Francesco, nella Lettera diffusa martedì scorso in vista del Giubileo della misericordia, ha deciso «di concedere a tutti i sacerdoti per l’Anno giubilare la facoltà di assolvere dal peccato di aborto quanti lo hanno procurato e pentiti di cuore ne chiedono il perdono». Alcune diocesi in realtà hanno già da tempo autorizzato in modo permanente tutti i sacerdoti a concedere l’assoluzione alle donne pentite dopo aver interrotto la gravidanza. In altre comunità questo permesso viene concesso in occasione di particolare ricorrenze. Per esempio, durante l’ostensione della Sindone, nella primavera scorsa, l’arcivescovo di Torino, Cesare Nosiglia, ha dato facoltà a tutti i confessori di assolvere dalla scomunica. Com’è noto infatti, secondo il Codice di diritto canonico (n.1398), l’aborto – omicidio volontario di un innocente – è tra i peccati che prevedono la scomunica latae sententiae, senza cioè che ci sia bisogno di pronunciarla formalmente. La stessa pena è prevista per altre gravi colpe (la violazione del segreto confessionale, la dissacrazione delle ostie consacrate, la violenza contro il Papa e i vescovi, l’assoluzione da parte di un sacerdote della stessa persona con cui ha avuto rapporti sessuali, il vescovo che ordina una donna sacerdote). Ci sono infine comunità che seguono in modo rigoroso quanto indicato dalle norme canoniche, riservando al vescovo, o ad alcuni sacerdoti da lui indicati, l’assoluzione per il peccato di aborto procurato. Certo, ogni sacerdote, quando ritiene particolarmente pesante la situazione spirituale di una donna che desidera confessarsi dopo un aborto – esistono casi in cui, dopo aver preso pienamente coscienza di quanto commesso, la persona piomba in una disperazione cupa che può lasciar presagire gesti estremi – può concedere immediatamente l’assoluzione, spiegando però che entro un mese è necessario ricorrere all’ordinario del luogo oppure a un confessore provvisto delle facoltà di confessare i peccati gravi (n.1357 del Codice di diritto canonico). L’assoluzione naturalmente rimane valida anche se la donna non ottempera alla disposizione formale. Perché l’obiettivo della Chiesa non è quello di accanirsi contro la donne che sono cadute nell’incubo dell’aborto, ma di sottolineare, anche con la complessità della procedura, la gravità del male compiuto, esortando a una presa di coscienza che apra la strada al pentimento e quindi al perdono richiesto e concesso. Ora la decisione di papa Francesco supera tutte queste difficoltà. «Il perdono di Dio a chiunque è pentito – ha scritto nella Lettera – non può essere negato, soprattutto quando con cuore sincero ci si accosta al sacramento della Confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre». (L.Mo.)

da Avvenire