Il Papa: lo sviluppo rispetti il creato e la famiglia


Pubblichiamo il testo dell’inter­vento svolto da papa Francesco nell’incontro con il mondo del lavoro e dell’industria nell’Uni­versità degli Studi di Campobas­so, primo appuntamento della visita pastorale in Molise. Di se­guito le parole del Papa.

S
ignor rettore, autorità, stu­denti, personale dell’uni­versità, professori, fratelli e sorelle del mondo del lavoro, vi ringrazio per la vostra accoglien­za. Vi ringrazio soprattutto per a­ver condiviso con me la realtà che vivete, le fatiche e le speranze. Il signor rettore ha ripreso l’espres­sione che io ho detto una volta: che il nostro Dio è il Dio delle sor­prese. È ve­ro, ogni gior­no ce ne fa una. È così, il nostro Padre. Ma ha detto un’altra co­sa su Dio, che prendo adesso: Dio che rompe gli schemi. E se noi non abbiamo il coraggio di rom­pere gli schemi, mai andremo a­vanti perché il nostro Dio ci spin­ge a questo: a essere creativi sul futuro.
L
a mia visita in Molise co­mincia da questo incontro con il mondo del lavoro, ma il luogo in cui ci troviamo è l’Università. E questo è significa­tivo: esprime l’importanza della ricerca e della formazione anche per rispondere alle nuove com­plesse domande che l’attuale cri­si economica pone, sul piano lo­cale, nazionale e internazionale. Lo testimoniava poco fa il giova­ne agricoltore con la sua scelta di fare il corso di laurea in agraria e di lavorare la terra «per vocazio­ne ». Il restare del contadino sulla terra non è rimanere fisso, è fare un dialogo, un dialogo fecondo, un dialogo creativo. È il dialogo dell’uomo con la sua terra che la fa fiorire, la fa diventare per tutti noi feconda. Questo è importante. Un buon percorso for­mativo non offre fa­cili soluzioni, ma aiuta ad avere uno sguardo più aperto e più creativo per valorizzare meglio le risorse del terri­torio.


C
ondivido piena­mente ciò che è stato detto sul «cu­stodire » la ter­ra, perché dia frutto senza essere «sfrutta­ta ». Questa è una delle più grandi sfide della nostra epoca: convertirci ad uno sviluppo che sappia rispettare il creato. Io ve­do l’America – la mia patria, pu­re: tante foreste, spogliate, che di­ventano terra che non si può col­tivare, che non può dare vita. Questo è il peccato nostro: di sfruttare la terra e non lasciare che lei ci dia quello che ha dentro, con il nostro aiuto della coltivazione. Un’altra sfida è emersa dalla vo­ce di questa brava mamma ope­raia, che ha parlato anche a nome della sua famiglia: il marito, il bambino piccolo e il bambino in grembo. Il suo è un appello per il lavoro e nello stesso tempo per la famiglia. Grazie di questa testi­monianza! In effetti, si tratta di cercare di conciliare i tempi del lavoro con i tempi della famiglia. Ma vi dirò una cosa: quando va­do al confessionale e confesso ­adesso non tanto come lo facevo nell’altra diocesi – , quando viene una mamma o un papà giovane, domando: ‘Quanti bambini hai?’, e mi dice. E faccio un’altra do­manda, sempre: ‘Dimmi: tu gio­chi con i tuoi bambini?’ La mag­gioranza risponde: ‘Come dice Padre?’ – ‘Sì, sì: tu giochi? Perdi tempo con i tuoi bambini?’. Stia­mo perdendo questa capacità, questa saggezza di giocare con i nostri bambini. La situazione e­conomica ci spinge a questo, a perdere questo. Per favore, per­dere il tempo con i nostri bambi­ni! La domenica: lei [ si rivolge al­la lavoratrice ] ha fatto riferimen­to a questa domenica di famiglia, a perdere il tempo… Questo è un punto ‘critico’, un punto che ci permette di discernere, di valuta­re la qualità umana del sistema e­conomico in cui ci troviamo. E al­l’interno di questo ambito si col­loca anche la questione della do­menica lavorativa, che non inte­ressa solo i credenti, ma interes­sa tutti, come scelta etica. È que­sto spazio della gratuità che stia­mo perdendo. La domanda è: a che cosa vogliamo dare priorità? La domenica libera dal lavoro – eccettuati i servizi necessari – sta ad affermare che la priorità non è all’economico, ma all’umano, al gratuito, alle relazioni non com­merciali ma familiari, amicali, per i credenti alla relazione con Dio e con la comunità. Forse è giunto il momento di domandarci se quel­la di lavorare alla domenica è u­na vera libertà. Perché il Dio del­le sorprese e il Dio che rompe gli schemi fa sorprese e rompe gli schemi perché noi diventiamo più liberi: è il Dio della libertà.


C
ari amici, oggi vorrei uni­re la mia voce a quella di tanti lavoratori e impren­ditori di questo territorio nel chie­dere che possa attuarsi anche un «patto per il lavoro». Ho visto che nel Molise si sta cer­cando di rispondere al dram­ma della disoccupazione met­tendo insieme le forze in modo costruttivo. Tanti posti di lavoro potrebbero essere recuperati at­traverso una strategia concorda­ta con le autorità nazionali, un «patto per il lavoro» che sappia cogliere le opportunità offerte dalle normative nazionali ed eu­ropee. Vi incoraggio ad andare a­vanti su questa strada, che può portare buoni frutti qui come an­che in altre regioni.

Vorrei tornare su una parola che tu [ si rivolge al lavoratore] hai det­to: dignità. Non avere lavoro non è soltanto non avere il necessario per vivere, no. Noi possiamo mangiare tutti i giorni: andiamo alla Caritas, andiamo a questa as­sociazione, andiamo al club, an­diamo là e ci danno da mangiare. Ma questo non è il problema. Il problema è non portare il pane a casa: questo è grave, e questo to­glie la dignità! Questo toglie la di­gnità. E il problema più grave non è la fame – anche se il problema c’è. Il problema più grave è la di­gnità. Per questo dobbiamo lavorare e difendere la no­stra dignità, che dà il lavoro.


I
nfine, vorrei dir­vi che mi ha col­pito il fatto che mi abbiate donato un dipinto che rap­presenta proprio u­na ‘maternità’. Ma­ternità comporta travaglio, ma il travaglio del parto è orien­tato alla vita, è pieno di spe­ranza. Allora non solo vi rin­grazio per que­sto dono, ma vi ringrazio ancora di più per la te­stimonianza che esso contiene: quella di un travaglio pieno di speranza. Grazie! E vorrei ag­giungere un fatto storico, che mi è successo. Quando io ero Pro­vinciale dei Gesuiti, c’era bisogno di inviare in Antartide, a vivere lì 10 mesi l’anno, un cappellano. Ho pensato, ed è andato uno, padre Bonaventura De Filippis. Ma, sa­pete, era nato a Campobasso, era di qua! Grazie!

Francesco 

(dal quotidiano Avvenire)