LO SCHIAFFO E IL PERDONO

Madre della vittima ferma il boia in Iran

Lo hanno trascinato a forza. Lo hanno bendato. Lo hanno issato su una sedia, il suo scarno, improvvisato, patibolo. Gli hanno stretto la corda al collo, nonostante le sue urla. Balal Abdullah, 20  anni, condannato a morte per aver ucciso a coltellate un suo coetaneo durante una rissa in strada nel 2007, aspettava solo l’ultimo gesto, quello che avrebbe decretato la sua morte. E invece la donna velata in nero, la madre del ragazzo ucciso sette anni fa, non ha fatto crollare la sedia, l’ultimo, fragile, sostegno alla vita di Balal. Lo ha schiaffeggiato. Un gesto che non significava morte ma vita. Non vendetta ma perdono. Non “occhio per occhio” – come prevede la legge islamica – ma riconciliazione. «L’assassino – ha raccontato la donna – piangeva chiedendomi perdono, io l’ho schiaffeggiato, cosa che mi ha calmato, e poi gli ho detto: così ti punisco per il male che mi hai fatto. Alcune persone hanno applaudito, altre hanno pianto».

Balal, riportato in carcere, ha espresso tutta la sua commozione: «Lo schiaffo ha separato il perdono dal patibolo e mi dispiace che nessuno mi abbia schiaffeggiato prima che io abbia preso il coltello». L’Iran è il secondo Paese al mondo dopo la Cina per numero di esecuzioni eseguite: 369 nel 2013 secondo Teheran, almeno il doppio secondo le stime di Amnesty International.

Lu.Mi.

(da www.avvenire.it)