Uccisa con 19 coltellate da tre minorenni in un rito satanico che scosse l’Italia. Vent’anni dopo la Chiesa riconosce che suor Maria Laura Mainetti patì il martirio «in odio alla Fede». Non lo aveva cercato, il martirio, ma la sua carità non fu estemporanea. Più volte nei suoi scritti ricorre l’idea del dono totale di sé per la conversione di quanti non conoscono Dio. E per i giovani pregava così: «Gesù, aiutami a riconoscerti in loro, a guidarli a Te»

Un martirio nel cuore di un’Europa sempre più atea, alla fine del secolo della mariofania di Fatima – la cui missione profetica è tutt’altro che conclusa (vedi Benedetto XVI) – e alle soglie del terzo millennio cristiano. A vent’anni di distanza dai fatti avvenuti, in pieno Giubileo, a Chiavenna (provincia di Sondrio), la Chiesa ha riconosciuto che il rito satanico compiuto da tre ragazze minorenni ai danni di suor Maria Laura Mainetti (1939-2000), al secolo Teresina Elsa, fu un vero e proprio martirio «in odio alla Fede». L’autorizzazione a promulgare il relativo decreto è stata concessa da papa Francesco venerdì 19 giugno, solennità del Sacro Cuore di Gesù, vigilia del Cuore Immacolato di Maria, lo stesso Cuore di cui i suoi figli attendono il trionfo.

Di tutto è stato detto e scritto su quella sera del 6 giugno 2000, a lungo al centro delle cronache di giornali e televisioni. Pochi giorni prima una delle tre ragazze, attuando un piano concordato con le altre due, aveva contattato al telefono suor Maria Laura. Si era presentata sotto falso nome, fingendo di essere incinta per una violenza in famiglia e di essere costretta ad abortire. La religiosa, superiora del convento delle Figlie della Croce di Chiavenna, si era offerta di incontrarla, assicurandole ospitalità almeno fino alla nascita del bambino e comunque per tutto il tempo necessario. Dopo un primo incontro ‘saltato’, il telefono era di nuovo squillato la sera del 6 giugno e suor Maria Laura, stretta tra la preoccupazione per l’ora e l’angoscia di lasciare sola una ragazza disperata, si era decisa a uscire intorno alle 22. Obiettivo: fare il trasloco.

Di lì a poco si sarebbe ritrovata in un viottolo buio, attirata nell’inganno delle tre, che la tramortirono con una mattonella e altri colpi alla testa. La suora, già in ginocchio, chiese pietà promettendo che non le avrebbe denunciate. «Muori, bastarda», «è soltanto una suora bastarda», si sentiva dire dalle ragazze, una diciassettenne e due sedicenni. A mani giunte, elevò quindi la sua preghiera alzando gli occhi al cielo: «Signore, perdonale». Seguirono 19 coltellate, una di troppo rispetto a quanto pianificato dalle giovani. Ammisero poi che «dovevano essere soltanto 18», sei a testa, così da ottenere il rituale 6-6-6, il numero della Bestia su cui profetizza l’Apocalisse. I simboli satanici ritrovati sul luogo del delitto e poi nei diari delle ragazze, assidue ascoltatrici di Marilyn Manson e già in precedenza macchiatesi di atti in odio alla Chiesa, convinsero – dopo mesi di indagini – anche gli inquirenti: l’uccisione di suor Maria Laura era stata un tributo a Satana, preceduto da un “giuramento di sangue”. Nel processo il satanismo fu sottilmente e discutibilmente ‘declassato’ a cornice motivazionale, malgrado i fatti.

Trascorsi alcuni anni in carcere e in comunità di recupero, le tre giovani si sono rifatte una vita. Hanno lasciato Chiavenna, cambiato nome e cognome e si sono sposate. All’epoca del crimine, avevano alle spalle separazioni in famiglia e disagi vari. Solo Dio sa cosa c’è oggi dentro il loro cuore. La speranza è che il sangue versato dalla religiosa, in unione al sangue di Gesù, ne susciti la conversione a Colui che le ha amate dall’eternità e attende solo, se già non è avvenuto, un loro “sì”.

VERA FIGLIA DELLA CROCE

In virtù del riconoscimento del martirio, suor Maria Laura sarà presto proclamata beata. Ma è importante ricordare che il suo esempio risplende al di là della carità mostrata in quegli ultimi giorni terreni: non fu cioè una carità estemporanea o casuale, bensì frutto di una vita intessuta interamente dell’amore per Dio e per il prossimo, alla luce della Croce.

I primi semi del dono totale di sé li aveva ricevuti in famiglia. Decima figlia di Marcellina Gusmeroli e Stefano Mainetti, rimase orfana della madre a pochi giorni dalla nascita. Mamma aveva voluto darla alla luce pur sapendo di rischiare la vita.

Da adolescente, stimolata dal confessore, gli aveva detto: «Penso di fare della mia vita qualcosa di bello per gli altri». A 18 anni iniziò il postulandato tra le Figlie della Croce. Due anni più tardi, il 15 agosto 1959, professò i primi voti religiosi e da allora prese a firmarsi per esteso «suor Maria Laura Figlia della Croce». Il carisma della congregazione, sorta in Francia nel 1807 ad opera di due santi (Andrea Uberto Fournet e Giovanna Elisabetta Bichier des Âges), è quello di imitare la vita di Gesù, proposito che ben si sposava con l’inclinazione di suor Maria Laura. Che scriveva: «Figlie della Croce ci chiamiamo, proprio perché nate in un periodo di sofferenza e di buio, alla fine della Rivoluzione francese, e la Croce sola poteva portare luce e speranza».

Nelle diverse tappe della sua vita religiosa (Chiavenna, Parma, Roma, Vasto) fu insegnante tra la materna e le elementari ed educatrice per giovani ragazze. Si specializzò in fisiopatologia, aiutando bambini orfani con difficoltà intellettive-comportamentali. La sua fede era nutrita dall’orazione, anche silenziosa, da un grande amore per l’Eucaristia, dalla gratitudine di fronte al mistero della Santissima Trinità. Molto attenta ai movimenti della società, constatava che troppi tradivano la loro vocazione battesimale: «Ti prego per loro Gesù, ti offro la mia vita per loro». Vedeva in particolare nei giovani della società contemporanea «i più poveri tra i poveri perché facilmente influenzabili» dalle ideologie del tempo, che li allontanano dalla Chiesa, dai sacramenti, quindi da Dio. Supplicava: «Gesù, aiutami a riconoscerti in loro, a guidarli a Te». Perciò l’offerta della vita, quale pegno di salvezza, ricorre più volte nei suoi scritti. «Noi non saremo mai capaci di donarci interamente; questo dono totale avviene nel martirio, ma questo Dio solo lo decide».

Non lo ha cercato lei, il martirio, «ma quando ha compreso quanto si stava compiendo, lo ha accettato», come disse l’allora vescovo di Como, Alessandro Maggiolini (1931-2008), promotore della causa di beatificazione. Esile e minuta, animata costantemente da quella che chiamava «una gioia profonda», suor Maria Laura era instancabile nel voler portare ristoro a ogni bisognoso nel corpo e nello spirito, che chiamava «il mio Gesù». Sempre monsignor Maggiolini spiegava: «…l’essere e l’agire di suor Maria Laura non si spiegherebbe senza una comunione profonda e quasi un nascosto ma realissimo affondamento nel terribile e soavissimo Mistero di Dio. Tolta la contemplazione, negata una dipendenza amorosa e intensa da Dio, non si capirebbe nulla della vita di questa suora: né il suo sorriso, né la dolcezza vigorosa con cui accostava le persone, né la capacità di regalare pace e di infondere speranza».

Dopo la nascita al Cielo, molteplici sono state le opere di bene sorte nel nome di suor Maria Laura Mainetti, in Italia, Africa, Sudamerica… Da vera figlia di Colui che ha vinto il mondo con la Croce, si può credere che siamo solo all’inizio.

da lanuovabq